Il regista danese Kaspar Astrup Schröder ha girato My Playground, un documentario sul parkour e la sua relazione con gli spazi urbani. Il documentario propone diverse interviste con squadre di parkour, urbanisti, politici locali, architetti e filosofi.
Il blog del corso di Progettazione Urbanistica
La riparazione della città diffusa2 commenti»
Il Parkour non è uno sport, è uno stile di vita, cambia totalmente il modo di vedere il modo e le percezioni dell’ambiente circostante, ti permette di immaginare e realizzare soluzioni di percorso impossibili per la maggior parte delle persone comuni. Il vero significato del fare Parkour (in gergo tracciare) consiste nell’affrontare non solo ostacoli fisici, ma anche quelli che ci pone la nostra mente (il punto di vista del creatore di questo sport http://www.youtube.com/watch?v=amoZaGPvkUk). Dal punto di vista progettistico si apre un nuovo mondo, perchè come chi traccia vede in modo differente una determinata struttura, chi progetta può provare a ideare nuove soluzioni, ideate apposta per i freerunner, così da rompere l’ordinaria struttura e i canoni di pensiero arrivando a soluzioni prima impensabili.
Immagini molto belle, e un modo di “usare” i materiali urbani insolito e spettacolare. Come altre forme di arte-di-utilizzo (lo skateboard, la break-dance) o di arte del segno (graffiti, markers) mi sembra che questo modo di interpretare i volumi, gli spazi, porti all’estremo quello che tante volte abbiamo detto al corso, ovvero il “corpo” come metro per misurare la qualità degli spazi urbani… certo qui sono corpi incredibilmente agili, che mi ricordano le scene urbane di film come l’uomo ragno e gli inseguimenti polizieschi di film come gli ultimi 007… ma l’aspetto interessante è il dialogo con i progettisti, che con interesse pensano alla possibilità che loro creazioni siano utilizzate in modi così estremi e esplorativi.
mc